Il giornalista Valerio Piccioni al Chionna di Lizzano: ‘Lo sport è un linguaggio universale’

Valerio Piccioni racconta le storie dello sport e illustra il significato de ‘Lo Sport è un Mappamondo’ ai ragazzi lizzanesi

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Si è svolto venerdì 8 novembre presso l’istituto comprensivo Chionna di Lizzano, l’incontro con il giornalista de La Gazzetta dello Sport, Valerio Piccioni, e i ragazzi della scuola secondaria di primo grado.

Una mattinata interessante e coinvolgente, durante la quale la Dirigente Scolastica, Lucia Calò, ha ringraziato il giornalista Valerio Piccioni e il dott.Luca Chianura, dell’Associazione Giornalisti Italiani, che hanno interagito con i ragazzi facendo scoprire loro le molteplici sfaccettature dello sport.

La rassegna ha avuto inizio con il discorso iniziale della DS e della Prof.Ssa Antonella Zannetti che ha presentato il celebre corrispondente illustrandolo come l’uomo che redige ‘le storie dello sport’. Una frase che rappresenta pienamente Piccioni che, in tal modo, inizia i suoi racconti che fungono come perle di insegnamento per gli occhi dei giovani curiosi desiderosi di ascoltare tutte le sue storie.

I racconti di Valerio Piccioni

La rassegna si suddivide in tre parti (tante quante sono le classi della scuola secondaria), durante le quali illustra questo suo importante progetto dedicato a Miguel e intitolato ‘Lo Sport è un Mappamondo’.

La prima storia che Piccioni decide di raccontare ai ragazzi è quella della ginnasta Simone Biles, attraverso la quale esprime un concetto simbolico importantissimo, ovvero: lo sport è anche difficoltà. Lo sport è anche vita, perché c’è chi decide di dedicarsi anima e corpo; ma, in tutto questo, occorre tenere presente che vi sono anche dei limiti che non bisognerebbe oltrepassare. Questi ultimi vengono illustrati (dallo stesso Piccioni) come dei numeri che divengono sinonimo di una tremenda ossessione per lo sportivo e, dunque, l’irrefrenabile voglia di raggiungere l’ambito traguardo e posizionarsi al primo posto. Se questo pensiero diviene una costante nella tua vita e nel tuo allenamento, ti porta solo a peggiorare e mai a vincere, perché l’ossessione del podio annulla il tuo lavoro e la tua stessa passione. Ecco perché, in tale ottica, diviene basilare menzionare una figura importante molto vicina (anche geograficamente parlando) ai ragazzi di Lizzano, ovvero quella di Benedetta Pilato che, nonostante sia arrivata al quarto posto alle Olimpiadi, ha ammesso che quel giorno è stato il più bello della sua vita, mostrando un’intelligenza emotiva che pochissime sue coetanee hanno.

Il racconto prosegue con la storia e l’etimologia della parola ‘maratona’, riprendendo la battaglia tra i greci e persiani (la famosa Battaglia di Maratona del 490 a.C.) vinta dai primi. Una ‘guerra’ che vide, però, i greci in allerta poiché i persiani non avevano ceduto del tutto durante quello scontro e rimasero sulle loro navi lungo le coste greche. La loro presenza poteva mettere a repentaglio la pace in terra greca e, così, il soldato Filippide si mobilitò tentando di raggiungere Atene affinché, generali e popolo, sapessero della presenza dei persiani.

Dalla figura dell’emerodromo Filippide si giunge, dunque, alla ricostruzione della maratona (come gara sportiva) e alla storia delle Olimpiadi che, nel corso degli anni, ricordiamo che sono state sospese per poi essere riprese.

Piccioni parla, poi, della sua esperienza personale vissuta il 25 ottobre 1981, giorno in cui corse la maratona di New York e, della quale, ricorda ogni singola cosa tranne una: il posto in cui lo stesso si posizionò. Questa sua dimenticanza è stato un ulteriore insegnamento, perché stava a significare che la cosa bella dello sport è quella ‘terra di mezzo’ dove non vi sono né vincitori né vinti e facendo comprendere che le passioni sportive possono nascere anche se non vi è un campione del tuo stesso Paese che rappresenta quel medesimo sport, perché, come spiega in un confronto aperto con gli studenti, sono proprie di ogni singolo individuo.

La storia di Miguel

Dopo questi approfondimenti, il giornalista decide di raccontare la storia di Miguel Sànchez partendo dal suo costante allenamento quotidiano che aveva inizio alle 5 del mattino in compagnia del suo fedelissimo cane Adam. Dopo l’allenamento, arrivava il momento di andare a lavoro, successivamente rincasava per allenarsi, andare a studiare e concludere la sua giornata. Miguel, racconta Piccioni, purtroppo morì giovane, all’età di 25 anni, a causa del regime dittatoriale nel suo Paese, partecipò alla Corrida Internacional de Sao Silvestre nel 1977, la quale si svolge in Brasile dal 1925 e che è alquanto suggestiva proprio perché ha inizio la notte di San Silvestro e si conclude con l’arrivo del primo finalista che, tecnicamente, dovrebbe ‘tagliare il nastro’ allo scoccare della mezzanotte con l’arrivo del nuovo anno.

L’intento di Miguel non è quello di vincere la corsa, ma è quello di raccogliere le firme di tutti i corridori provenienti da tutto il mondo (un pezzo di storia custodito dallo stesso giornalista e che ha avuto in regalo dai fratelli di Miguel), proprio perché la bellezza dello sport è quella di mischiarsi.

Prima della corsa, Miguel si ritira nella stanza del suo albergo dove scrive una poesia dedicata all’atleta e che viene letta dallo stesso Piccioni, una poesia che è in grado di donare un pathos incredibile. La stessa venne, poi, consegnata dallo stesso Miguel a La Gazeta Esportiva quello stesso giorno. Il ricordo di Miguel tocca il cuore di tutti, soprattutto perché quel ragazzo è stato in grado di dimostrare il fatto che lo sport è un mappamondo e permette di scoprire se stessi. Un ragazzo umile, volato in cielo troppo presto (a 25 anni) a causa del regime dittatoriale presente nel suo Paese, l’Argentina.

Ovviamente, come avvenuto per ogni classe, Piccioni lascia spazio alle domande dei ragazzi, tra le quali è emersa una in cui gli si chiedeva quale fosse il suo idolo e lui, prontamente, ha risposto menzionando Eric Liddell, l’uomo che non avrebbe mai corso la domenica per rispetto nei confronti della sua fede e della sua religione.

L’incontro con le seconde

Piccioni incontra le seconde classi del plesso Chionna con le quali inizia a parlare di un tema alquanto delicato, ovvero l’esclusione delle donne dalle Olimpiadi del 1896.

Da qui, si parte con la storia di Stamata Revithi, una giovane mamma di un bimbo di 18 mesi che viveva in un quartiere di Atene e che venne a sapere che si sarebbe corsa la maratona da Maratona ad Atene. A quei tempi, però, le donne non erano ammesse e, data la sua esclusione poiché donna, Stamata decise di bloccare l’inizio della maratona posizionandosi dinanzi alla linea dove erano posizionati i corridori. Dato che non era ammessa violenza, Stamata venne invitata a lasciare la pista a patto che lei avrebbe potuto fare lo stesso percorso il giorno dopo e che, questa sua fatica, le sarebbe stata riconosciuta ufficialmente. Dopo aver accettato e giunto il giorno della sua gara, Stamata fa la sua corsa, ma una volta giunta alla fine comprende che si trattava solo di una truffa, poiché non vi era nessuno ad attenderla.

Con il passare del tempo, la situazione ‘tende a migliorare’ con l’avvento delle Olimpiadi femminili svoltesi nel 1921 a Parigi grazie alla volontà e alla caparbietà della nuotatrice francese, Alice Milliat. Nel 1928, invece, si apre all’atletica leggera, ma la maratona rimane ancora un tabù. Solo dopo alcuni decenni, si aprono le porte anche alle donne e, precisamente, nel novembre del 1978, anno in cui una ragazza di Oslo, Grete Andersen, decide di accettare l’invito degli organizzatori della maratona di New York e parteciparvi. Una decisione titubante scaturita dall’insistenza del marito che le faceva anche da allenatore. In quell’occasione, Grete vinse e lo fece per 9 volte consecutive.

Si passa al racconto dedicato alla nascita delle paralimpiadi, nate grazie allo splendido ed encomiabile lavoro svolto dal Dott. Ludwig Guttman, un medico che dirige un centro ove vi erano tutti i reduci e feriti gravi della Seconda Guerra Mondiale con lo scopo di donare loro il recupero della vita normale.

Com’è facile immaginare, queste persone erano allettate per tutto il giorno e avevano ancora negli occhi e nella mente le immagini e l’ossessione della guerra. Il tempo passa e Guttman vive ogni giorno la vita di queste persone e, nel frattempo, pensa alle condizioni in cui riversano che non sono sinonimo di ‘vita’, ma di sopravvivenza; così, un giorno decide di portare tutti i feriti in un campo da basket a Stoke Mandeville dove, con un semplice pallone da basket, si diede vita a una speranza divenuta realtà: la nascita delle paralimpiadi.

Piccioni, poi, parla dell’invenzione del padel per collegarsi, successivamente, all’importanza di far girare il ‘mappamondo’ anche secondo l’idea iniziale di Miguel.

Si passa alle domande fatte dai ragazzi tra cui una sulla rilevanza della tecnologia che, a suo avviso, è fondamentale, ma lo è ancor di più il contatto tra gli uomini, proprio come il semplice fatto di guardarsi negli occhi e di abbracciarsi che, nello sport, è quasi di vitale importanza. Tra le domande, c’è spazio anche per le riflessioni su alcuni atleti che, prima di avvicinarsi allo sport o di giungere agli alti livelli, hanno dovuto soffrire tanto nel corso della loro storia personale. E, ancora, il rapporto con Mennea che gli ha insegnato che quando si fa una cosa, la si deve fare bene, oltre alla rilevanza del dettaglio che, come ha potuto scoprire con il tempo, nel suo lavoro fa la differenza.

Il dialogo con le terze

Con le terze classi, Valerio Piccioni riferisce il soprannome di Miguel, ovvero: El Inventor del Beso; oltre, all’incontro con Cesare Toraldo che gli ha segnato parte della sua vita.

Dopo, il racconto sulla Nuova Zelanda che ha un primato non politico in quanto, nel 1896, ha permesso alle donne di poter votare. E, ancora, la storia mappamondo di Giannis: dalle sue origini nigeriane al trasferimento in Grecia (dove nasce e cresce) dove ha dovuto subire insulti razzisti, fino a quando è diventato un campione di basket negli Stati Uniti, dopo aver firmato un contratto ove imponeva il suo trasferimento assieme a quello della sua famiglia. Un campione in tutti i sensi che rivendica le sue origini anche nel numero della sua maglia, il 34, lo stesso portato dal campione NBA, Hakeem Olajuwon.

L’incontro si conclude con la classifica dei campionati professionistici più visti nel mondo (football americano, cricket indiano e NBA) e con la rivoluzione dell’etiope che vinse la maratona di Roma: Abebe Bikila.

 

Un incontro emozionante, ricco di insegnamenti, storia e tanto amore per lo sport e per il significato intrinseco e inclusivo che lo stesso racchiude, espresso con delle semplici e, nel contempo, potenti parole enunciate da Valerio Piccioni prima dei ringraziamenti generali della Dott.Ssa Calò e della Prof.Ssa Zannetti, ovvero:

‘Lo sport è un linguaggio universale’