Serie A i rimpianti dell’Inter. A leggere i commenti sui vari quotidiani sportivi, in questi giorni seguenti al Derby di Milano, molti cronisti si sono trovati d’accordo su un fatto: “L’Inter era l’anti-Napoli”. Che questo sia vero, in tempi di incompiutezza capitolina (sia lato Sarri che lato Mou), stangate alla Vecchia Signora e latitanza rossonera, è poco ma sicuro. Ma è azzeccato l’uso dell’imperfetto: mentre il Napoli veleggia come un galeone a tre alberi, l’Inter ha scoperto una debolezza intrinseca che spesso la tradisce nel momento decisivo; dunque i nerazzurri potevano, ora non più, essere l’anti-Napoli. I partenopei volano senza che nessuna “macchina del Nord” possa mobilitarsi. Sarebbe meglio che Saviano commentasse le dichiarazioni quanto meno inopportune del PM Santoriello, al posto di sparare illazioni circa un disegno politico-calcistico secondo il quale lo Scudetto dovrebbe rimanere sulla Milano-Torino. Ribadisco: complotti veri e immaginari non possono nulla su una squadra che vola, la quale al momento rappresenta il meglio d’Europa. E poi, a dirla tutta, la “macchina del Nord” è uscita di strada alla prima curva, autoeliminandosi da una corsa che oggi appare pura formalità. Tornando all’Inter non più oppositrice del dominio napoletano, essa rimane comunque la formazione che ha dimostrato, in queste settimane di ripresa post-Mondiale, di essere più vicina a quelle prestazioni che ti regalano la Champions, avendo addirittura battuto la capolista. E di contro, riprendendo il tema della debolezza, ha buttato via cinque punti (vs Monza ed Empoli) che oggi farebbero apparire l’inseguimento meno utopico. Se tutto dovesse ora procedere secondo le previsioni, dunque con il Napoli trionfante e l’Inter distanziata ma seconda, Zhang e dirigenti raccoglierebbero un dato che troppo poco spesso è stato citato: nelle ultime quattro stagioni, l’Inter è arrivata tre volte seconda.
Serie A i rimpianti dell’Inter, i rimorsi di Zhang
Un dato numerico che sarebbe bene indagare: nella prima stagione Conte vide il tricolore andare a CR7 e Sarri, rifacendosi l’anno successivo; arrivato Inzaghi, con una squadra privata di alcuni elementi ma comunque competitiva, lo Scudetto è finito ai cugini, più deboli sulla carta (oggi abbiamo la certificazione del miracolo piolista) e vincitori per due punti, dunque a tiro di vittoria; quest’anno si rischia di prendere l’argento con un bel distacco, ma con un undici che secondo i maggiori analisti “rimane comunque superiore a quello di una squadra che si è privata di sei giocatori cardine”, come il Napoli ricostruito mirabilmente da Spalletti, al cui lavoro nessuno avrebbe creduto se non qualche aruspice. Adesso, tralasciando l’ultimo trionfo dell’epopea juventina, mai veramente minacciato dal Biscione, Zhang ha dinanzi agli occhi la fotografia di ciò che poteva essere e non è stato. L’istantanea dell’Inter a giugno 2021 è questa: alla guida uno dei migliori allenatori d’Europa, perfettamente in simbiosi con il suo undici; la sicurezza e la convinzione di poter dominare in Italia e competere in Europa con un paio di acquisti di qualità. Invece arriva l’autofinanziamento dettato dal capitalismo comunista cinese che non crede più negli investimenti sul calcio. Tuttavia il vero danno è stato prodotto da Steven, che piaccia o no: al posto di passare la mano e permettere all’Inter di continuare un progetto di crescita, volto a riportare i nerazzurri nell’elite pallonara, ha preferito provare l’impossibile: gestire senza lire una società calcistica nel XXI secolo. Quando si volterà indietro, vedrà il magnifico Scudetto del 2021 incastonato tra i secondi posti che ne segneranno la presidenza. Le due Supercoppe e la Coppa Italia messe in bacheca sono una magra consolazione, frutto del lavoro di Inzaghi e non di altro. Zhang ha avuto il grande merito di riportare l’Inter a vincere, ma non è stato lungimirante quando tutti i fattori gli indicavano la sola via del farsi da parte. Ha provato a resistere in nome di una mentalità imprenditoriale abbarbicata ad un sistema economico diverso dal nostro. Non si è rivelato pronto e spigliato come tanti rampolli della new economy cinese, bensì un semplice messo del padre a cui viene affidato il giocattolo che piaceva, e ora viene sconfessato, dal Partito Comunista Cinese: il calcio.
Serie A i rimpianti dell’Inter, il disegno del prossimo futuro
Certo nel racconto che abbiamo fatto dobbiamo necessariamente spendere due parole su Inzaghi. Simone ha dimostrato di essere un cannibale da eliminazione diretta, e i tifosi sperano si confermi tale nella sfida al Porto distante ormai pochi giorni. Allo stesso tempo ha palesato di non avere la tempra del condottiero di lungo corso, colui che travalica le debolezze di una squadra risollevandola nei momenti delicati di un campionato a venti squadre, fisiologicamente stancante. Bisogna capire se gli inciampi di queste due stagioni sono parte di un processo di crescita oppure rappresentano il suo limite. La dirigenza e buona parte del tifo credono in lui, per questo con la qualificazione Champions il rinnovo scatterà in automatico. Capitolo giocatori: Dumfries è il big da sacrificare (ma occhio, in panchina si svaluta), Brozovic quello su cui ragionare (l’Inter è girata anche senza di lui), Lautaro quello da asserragliare ad Appiano. In difesa si ricerca un erede di Skriniar (servirebbe anche quello di de Vrij), mentre si formalizza il riscatto di Acerbi. Barella vede un futuro da capitano e Calhanoglu è prossimo al rinnovo. In ultimo c’è stata l’apertura alla permanenza di Lukaku, ma solo attraverso un cospicuo sconto dei blues collegato ad un prolungamento del prestito.