La Coppa d’Africa è considerata dagli appassionati europei alla stregua di una scocciatura. La cosa è stata enfatizzata negli anni da molti presidenti italiani che ne hanno decisamente contestato la collocazione all’ interno del calendario. L’Africa, però, non un continente è uno stato d’animo e quando uno stato d’animo incontra il calcio non può che uscirne una grande storia, una storia di: determinazione, anima e destino. Il nostro racconto comincia nel 1988, in uno dei posti più geograficamente e culturalmente lontani dall’Africa: la Corea del Sud. Gli asiatici in quell’anno ospitano le Olimpiadi. Il torneo calcistico di quella edizione è molto competitivo, ci sono alcune nazionali di ottimo livello come il Brasile di Romario, la Germania di Klismann. Un gradino sotto, l’Italia che, non ha un campione che svetta su tutti ma possiede un’ottima rosa e l’ URSS che senza grande tecnica ma con una grande programmazione si presenta tra le favorite al torneo. L’ Italia finisce in un girone apparentemente facile con l’Iraq, lo Zambia e il Guatemala. L’ inizio sembra dare ragione agli esperti e nella prima giornata gli azzurri asfaltano i centroamericani per 5-2 mentre Iraq-Zambia termina con un pirotecnico 2-2. Gli Africani hanno fatto intravedere qualcosa di buono, ma niente che possa preoccupare gli azzurri. Nella seconda giornata avviene l’impensabile, lo Zambia fa esplodere col tritolo le certezze azzurre con un perentorio 4-0 a zero. Paradossalmente, non è il risultato ad impressionare ma la prestazione, gli africani sembrano schegge impazzite che girano per il campo. Gli africani fanno un pressing asfissiante e poi corrono, corrono e ancora corrono. I ragazzi in maglia arancio macinano chilometri e davanti hanno un attaccante in giornata di grazia che realizza una tripletta: Kulusha Bwalya. Lo Zambia si svela al mondo, come era successo a Camerun e Algeria qualche anno prima, e sorprende tutti vincendo il girone. Ai quarti di finale lo Zambia incontra la Germania ma itedeschi sono troppo anche per i Chipolopolo (pallottole di rame) che perdono 4-0. Una buonissima base è stata gettata, la squadra è giovanissima e con l’aggiunta di elementi con più esperienza può solo crescere, per di più ha in squadra Kulusha Bwalya .
La tragedia
Con questa formazione si può puntare alla qualificazione al mondiale ‘94 negli USA ma nell’anno precedente il destino entra in scena.
Siamo nel ‘93 e la squadra è giunta a piena maturazione. Lo Zambia si trova prima nel girone di qualificazione e deve affrontare il Senegal, se dovesse vincere staccherebbe il pass per i mondiali. La partita, però, lo Zambia non la giocherà mai. Dopo la sosta in Gabon, infatti, il motore dell’aereo che trasportava i giocatori prende fuoco e qualche istante dopo l’aereo precipita in mare al largo di Libreville. L’errore del pilota è di quelli che costano cari e nello schianto muoiono 30 persone tra cui tutti e 18 i componenti della nazionale.
Non c’è nulla da fare, ancora una volta il destino ha voluto accanirsi contro l’Africa. Rimane solo una speransza: Kulusha Bwalya. Il giocatore del PSV non era sull’aereo, impegnato in una partita di club e avrebbe raggiunto i compagni in Senegal il giorno stesso.
Bwalya insieme alla federazione, si mette al lavoro, c’è da ricostruire una nazionale nel giro di un mese per affrontare il Marocco. Le speranze di qualificazione esistono, basta un pareggio per passare, il lavoro viene ultimato e Bwalya si carica la squadra sulle spalle ma non basta: lo Zambia perde 1-0 e addio mondiali.
E’ in questo momento che entra in gioco il secondo elemento della storia: la determinazione. La nazionale costruita da nuovo non è male, anzi, centra ottimi risultati come il secondo ed il terzo posto nelle edizioni della coppa d’africa ’94 -’96, però non riesce a vincere sembra perseguitata da una maledizione. Kulusha prova in tutti i modi a infrangerla, ma niente, ottiene solo successi personali come nel 2003 quando raggiunge le 100 presenze e 50 reti in nazionale.
Questo non basta, lui vuole vincere qualcosa per il suo paese e terminata la carriera accetta la proposta della federazione: sarà lui l’allenatore che porterà lo Zambia a giocarsi le fasi finali della coppa d’Africa del 2006.
La Coppa d’Africa del 2012
Nelle sue idee la squadra deve essere molto giovane, esattamente come la sua nell’88. C’è un proverbio africano che dice “i giovani corrono, ma sono i vecchi a conoscere la strada”, così le prestazioni sono altalenanti e la squadra viene estromessa subito ai gironi.
Finita la manifestazione Bwalya si dimette, ma sa di avere seminato bene, è solo questione di tempo. La formazione è talentuosa ed ha voglia di rappresentare e vincere per il paese. Passano gli anni e crescono i risultati e alla coppa d’Africa del 2012 buona parte della rosa è composta dagli stessi elementi della squadra di Bwalya.
La competizione è una cavalcata trionfale fino alla finale: girone concluso al primo posto senza sconfitte, Sudan battuto 3-0 ai quarti e approdo alla finalissima eliminando il super favorito Ghana vincendo 1-0.
Nell’ultima partita lo Zambia se la dovrà vedere con la fortissima Costa d’Avorio di Yaya Tourè e Didier Drogba. Ne viene fuori una partita tesa, non emozionante, che si trascina ai rigori, ed è qui che si manifesta il terzo elemento della storia: l’Anima. La serie di rigori è interminabile se ne contano 17 prima che Gervinho sbagli e consegni la coppa ai Chipolopolo. Dopo 18 rigori lo Zambia vince la Coppa d’Africa per la prima volta.
Eppure non è la cosa più importante. La finale si gioca in Gabon, proprio a Libreville.
E’ come se l’Africa, con il suo portato storico di animismo, avesse voluto restituire allo Zambia qualcosa proprio in quella terra che gli aveva tolto tutto.
Una storia di determinazione, anima e di destino, si era detto. Una storia Africana.
Coppa delle nazioni africane 2012 – Wikipedia