Champions l’Inter batte il Milan e approda in finale. La partita di ieri è tra quelle che si consegnano alla storia della stracittadina meneghina, la più importante al mondo. Il Biscione ha vinto, prendendosi una rivincita storica: venti primavere fa le ambizioni dell’Inter delle stelle venivano spente da un doppio pareggio contro un Milan forte, audace e un pizzico fortunato. Era il 2003, a decidere fu il gol in trasferta, retaggio di un calcio vero, che rimanda al passato. Oggi, invece, non ci si appiglia a calcoli numerici, l’Inter è stata semplicemente di un’altra categoria: un 3 a 0 cumulativo che non abbisogna di ulteriori analisi. Sull’onda lunga di un aprile ricostituente, i nerazzurri hanno trovato, nel momento decisivo della stagione, la forma perfetta: otto vittorie consecutive per districarsi in un labirinto dalle mille insidie con uscita diretta sulle rive del Bosforo. Se l’imbattibilità dura da metà aprile, in città si è concretizzata ben prima: nel 2023 l’Inter ha portato a casa l’en plein di vittorie nel derby, andando oltre il risultato tennistico con un 7 a 0 maturato in quattro gare: mai era successo che il Diavolo digiunasse tanto a lungo. Ora, il più dolce dei finali di stagione: finale di Coppa Italia e finale di Champions, oltre un campionato da onorare con la certezza di una superiorità che ora non può essere nascosta. Una forza di squadra antitetica ad undici impronosticabili sconfitte in Serie A, oggi sicuramente meno amare davanti al luccichio di quella coppa a orecchioni. Dunque il sogno diventa obiettivo, l’impossibile diviene auspicabile: regalare ai propri tifosi una gioia vissuta tre volte in 115 anni, riannodando quel filo rosso perso dopo Madrid, per disegnare un avvenire Internazionale.
Champions l’Inter batte il Milan e approda in finale, due partite a senso unico
Dzeko e Mkhitaryan – un bosniaco ed un armeno, entrambi ultratrentenni – ci mettono dieci minuti, all’andata, per inclinare pesantemente la qualificazione. Dieci minuti di fuoco in cui i nerazzurri mettono alle corde il Milan con il pressing e il recupero alto, raddoppiando con il palleggio dopo aver sciolto gambe e testa grazie alla rete da palla inattiva. È questo che dovrebbe fare, al ritorno, il Diavolo in cerca d’autore per la rimonta. Il forcing iniziale evapora con il passare dei minuti e i singoli non vivono la migliore serata: la frizzantezza di Brahim rimane in bottiglia, Leao sembra tremebondo al pensiero dell’infermeria. Il portoghese si tiene pochi strappi e dà una scarica intorno al 40’: rientra sul sinistro bruciando Acerbi ma è troppo defilato per pescare l’angolo lontano col sinistro. Da quel momento i nerazzurri amministrano le reti bianche e il solo Maignan, con interventi prodigiosi, tiene a galla il Milan. Nel secondo tempo la stanchezza nervosa dei rossoneri inizia a palesarsi, la forbice qualitativa si allarga così a favore degli uomini di Inzaghi: Tonali, braccato costantemente da un Barella onnipresente, perde troppi palloni e non riesce più ad essere il faro; Dumfries, dopo aver neutralizzato Theo all’andata, fa ambo con Leao e fa prevalere il suo fisico dinanzi alla tecnica inespressa dei rossoneri di sinistra; Giroud, che una volta era solito girarsi ad ogni piè sospinto, è intrappolato nella gabbia difensiva di Acerbi e soffre i ritorni di Calhanoglu. Insomma, agonisticamente non c’è stata sfida. Anche sulle panchine, però, c’è un netto vincitore: Pioli, responsabile dell’impazzimento primaverile del Napoli, non è riuscito a trovare argini per frenare i cugini; Inzaghi invece ha trasposto dalla lavagna al rettangolo verde il suo piano senza falle, dimostrando ancora una volta di essere un maestro del dentro-fuori. Un maestro atteso dalla prova più impegnativa, la finale della Champions League.
Champions l’Inter batte il Milan e approda in finale, rivincita presa
La data è il 10 maggio, il teatro l’Ataturk Olympic Stadium di Instanbul, i primi invitati sono gli undici cavalieri di nerazzurro vestiti. Manca la dama da portare al gran ballo: City o Real? I più forti o i più leggendari? Non lasciamoci suggestionare da domande scespiriane: scegliere tra Guardiola e Ancelotti è come preferire la zuppa inglese o il tiramisù. Simone, che viene da una carriera giovane ma importante, potrà saggiare le sue qualità con uno dei due professori del calcio. Pur con massimo realismo, lancia un guanto di sfida: “Con chi capiti, capiti male. Forse saremo sfavoriti, ma troveranno l’Inter che se la giocherà”. Una sfida che Lautaro, dopo il Mondiale albiceleste, vuole vivere da protagonista: “Ora dobbiamo andare ad Istanbul e alzare la Coppa: siamo lì, dobbiamo farcela”. Suona la carica il marcatore dei sogni, colui che avvicina all’estasi il popolo nerazzurro: è suo il sinistro sul primo palo che nemmeno il gatto Maignan può evitare, come fosse una sentenza già scritta. Il Toro che piangeva sconsolato dopo lo Scudetto andato ai cugini oggi si commuove, con la fascia al braccio, dopo questa rivincita che passerà alla storia. Dimarco, cuore nerazzurro che nel triste 2003 era in curva, si gode il momento: “Te l’ho promesso 20 anni fa a San Siro. Oggi abbiamo rimesso le cose a posto: Milano siamo noi!”, scrive su Instagram. Zhang, meno istituzionale del solito, è raggiante: “Continuiamo a scrivere la storia. Ci vediamo a Istanbul, forza ragazzi!”. Nel giorno del compleanno, un regalo ideale al presidentissimo Massimo Moratti: è grazie a lui se l’Inter, ormai da tre lustri, sta scalfendo l’egemonia cittadina in campo europeo del Milan.