Gianluca Vialli un Signore in campo e fuori

Al quinto anno di malattia Gianluca è volato al cielo, aveva 58 anni, lascia la moglie e due figlie

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Gianluca Vialli un Signore in campo e fuori
Gianluca Vialli un Signore in campo e fuori

Gianluca Vialli un Signore in campo e fuori. Destino infame, crudele, ingiusto. Porta via i grandi lottatori, quelli che resistono, quelli che giocano la partita della vita e tentano di resistervi fino all’ultima esalazione. Luca Vialli è stato uno di questi, un guerriero atipico e determinato, capace di considerare la malattia non un ostacolo ma una fase della vita. Un passaggio affrontato con la bellissima forza di un sorriso saggio: la sua barba folta accompagnava l’inarcarsi delle labbra imprimendo su quel viso uno sguardo buono, impreziosito da raffinati occhi azzurri contorniati da quelle che erano rughe oramai non solo espressive. Tutto questo potevamo vederlo sui suoi profili social, tra una fase terapica e l’altra, quando quegli scatti ci facevano credere tirasse aria di miglioramento. E invece non è stato così: come tutti i tumori, quello di Luca si è rimpossessato prepotentemente del suo corpo e nel giro di un anno l’ha portato all’ultimo giorno. Simbolico che il ragazzo cresciuto in parrocchia se ne vada proprio il giorno dell’Epifania, lui che è stato “non un praticante modello ma un credente vero”, come molti di noi, del resto. Le sue città – Cremona, Genova, Torino e Londra – oggi piangono quel campione che non c’è più: il sindaco della città che gli ha dato i natali, Gianluca Galimberti, ha già intavolato la pratica per intitolargli lo Zini. Sarebbe un giusto riconoscimento alla figura di un Signore del pallone, ponte calcistico tra cultura anglosassone e italica, amato ad ogni latitudine. È spirato nella Londra dove aveva messo su famiglia: in quella che fu la città dei Led Zeppelin sono sicuro abbia trovato la sua “Stairway to Heaven”.

Gianluca Vialli un Signore in campo e fuori, i gemelli del gol

Solo qualche settimana fa Roberto Mancini portava su di una spalla il feretro di Sinisa, oggi piange per il suo gemello. Un periodo assai difficile per il nostro cittì: questi sono i momenti in cui ci si interroga sul rapporto tra vita e morte, sul tempismo maledetto del morbo incurabile. Nella nostra concezione postmoderna la morte di una persona cara non è mai giusta, non può esserlo. L’interruzione di ciò che fluisce naturalmente è proprio ciò che non deve accadere. Una persona può aiutare Roberto in questo momento tragico, e questi è Seneca: “La vita ha condotto alcuni con la massima rapidità dove non potevano evitare di giungere, nonostante ogni loro indugio; altri li ha macerati e consumati lentamente. Non è opportuno, lo sai, conservare la vita in ogni caso; essa, infatti, non è di per sé un bene, lo è, invece, vivere come si deve. Pertanto il saggio vivrà quanto a lungo gli compete, non quanto più può”. Il Mancio comprenda come la lunghezza della vita sia scollegata dalla qualità di essa. Luca Vialli ha vissuto rettamente, come si deve: è stato un saggio, un campione in tutte le sfaccettature della sua vita. Quella calcistica l’abbiamo conosciuta, ed è quella che lo lega al gemello Roberto. Facevano parte della Samp di Boskov che vinse lo storico Scudetto del ’91, la Sampd’Oro battuta solamente da una punizione di Koeman in finale di Coppa dei Campioni a Wembley. Lo stesso palcoscenico sul quale trent’anni dopo Luca Vialli, Roberto Mancini e una spedizione intera conquistarono l’Europeo. È stato un amuleto; consigliere fidato del Mancio e collante dello spogliatoio, uomo superstizione prima di ogni partenza per lo stadio – il pullman faceva pochi metri e poi riapriva le porte per Luca – e tifoso girato di spalle durante i rigori. Luca si era totalmente immerso nella Nazionale e questa ha giovato incredibilmente della sua presenza, insieme al blocco Samp costruito intorno al cittì. Roberto ha detto, in una nota, di aver rivolto ogni giorno le sue preghiere per la guarigione di Luca, dal primo attimo della malattia. È anzitutto lui che perde un pezzo importante della sua vita: lo possiamo capire dall’abbraccio incastonato dalle telecamere nell’arabesco Azzurro della follia di Wembley. L’abbraccio della consacrazione tra due campioni: avevano chiuso il cerchio, vinto in Azzurro. L’ultimo capitano di una Juve Campione d’Europa lo meritava, un giocatore della sua classe lo meritava.

Gianluca Vialli un Signore in campo e fuori, l’Inghilterra e la famiglia

Una classe sconfinata, più alta di un centravanti canonico: riduttivo definirlo così ma Luca è semplicemente stato il miglior numero 9 italiano a cavallo tra due decenni. Un 9 con il vizio – o meglio, il gusto – dell’acrobazia. Di lui colpivano l’incredibile portanza fisica abbinata ad una certa leggiadria nelle giocate: ciò spinse il maestro Gianni Brera a rinominarlo Stradivialli. Uno così hanno avuto la fortuna di vederlo anche in Inghilterra, quando la Premier era ancora il campionato del lancio e del tackle. Sposò il Chelsea insieme a Zola – era il ’96 – e vi rimase anche nella leggendaria figura di allenatore-giocatore: con cinque trofei è entrato nella storia dei blues. Necessario aspettare oggi per capire l’impatto che ebbe sul calcio inglese: Legend Luca titola il Daily Express, per il Mirror Sport è The Lion King of Chelsea. Chelsea, il quartiere di Londra dove conobbe la moglie e dove oggi, su di un muro a Stamford Bridge, c’è la sua foto accompagnata da fiori e didascalie, affinché anche i più piccoli tifosi blues capiscano quanto devano all’uomo che ha fatto il Chelsea. Luca Vialli, l’italiano più amato d’Inghilterra, senza dubbio.