Binotto out ma Ferrari smentisce. Bomba in Ferrari. Secondo i principali quotidiani a Maranello si è arrivati ad un punto di svolta, pare che la prossima stagione a guidare gli uomini al muretto non ci sarà Mattia Binotto. Nonostante il clamore generato la notizia è stata affievolita dalla scuderia, con un comunicato sui social in cui si dichiara che tali voci siano prive di fondamento. Qualcosa di vero tuttavia ci deve essere, non escludiamo una fuga involontaria di notizie; l’italo-svizzero cresciuto a Maranello potrebbe abbandonare la scuderia oppure – alquanto probabile – rimanere in un ruolo da motorista o supervisore dell’operato. Ma perché si è arrivati a ciò? Qual è stata la miccia che ha appicciato le polemiche? Le risposte le troviamo in questa stagione, sebbene questo modello di analisi non renda giustizia all’onorata militanza di Binotto in Ferrari. Un percorso costellato di grandi soddisfazioni, cui non ha seguito la consacrazione a Campione del Mondo al muretto, titolo il quale l’avrebbe reso l’untore tanto atteso dai tifosi della Rossa. In fabbrica dal ’95 come stagista, si è reso protagonista della rinascita rossa all’alba del nuovo millennio ricoprendo passo dopo passo cariche sempre più gravose. Nei 2000 spicca nel team motoristico e quando Kimi vince il Mondiale nel 2007 è responsabile delle operazioni Power Unit. Chief Operating Officer dell’area motori dagli anni 2010, sostituirà Allison come responsabile motoristico-telaistico-aerodinamico su indicazione di Arrivabene. Si crea un’asse tra lui e la buonanima di Sergio Marchionne, alla cui morte il presidente Elkann gli affiderà l’incarico più pesante della F1: il muretto della Ferrari. Binotto è un prototipo di self-made man del motorsport, il quale ha scalato tutti i posti arrivando a quello più alto, più esposto al sole, con il rischio tangibile di scottarsi. E noi ferraristi sappiamo bene come è andata dal 2019 in poi: le prime vittorie di Charles, il motorone bruciato dalla Federazione; poi il lungo Purgatorio, le annate 20/21 tra le più buie della parabola rossa; in seguito la rinascita, la gioia, la soddisfazione, le vittorie: potrebbero non bastare ai grandi capi, per sopravvivere in Ferrari serve il Mondiale, chiedere ad Arrivabene e Domenicali, gli altri due successori del general Jean Todt.
Binotto out ma Ferrari smentisce, motivazioni e congiure
A Mattia è sempre stato riconosciuto di avere un ottimo rapporto con i dipendenti ed i piloti. Tre sono stati i driver (Vettel, Charles, Sainz) che hanno portato in dote 7 vittorie e 46 podi in 4 stagioni piene di F1. Il suo stesso promotore, John Elkann, sarebbe il primo ad aver avuto problemi con il Team Principal, notizia che la Gazzetta assicura: “confermata da numerose fonti”. La mossa della Ferrari sta nella smentita, che tuttavia ha il sapore di un rinvio dell’operazione ad acque calme in inverno. Sempre Elkann avrebbe chiamato e rassicurato Binotto, ma non è un segreto che dopo l’onta del sesto posto nel costruttori 2020 abbia cercato almeno delle “potenziali alternative”: da Frederic Vasseur – il più quotato – a Max Sirena e Andreas Seidl la margherita dei nomi è già sottomano del presidente da un bel po’ di tempo. E non è un segreto, visti anche i silenzi enigmatici di tutto lo stato maggiore dopo le vittorie ad inizio stagione, segnale di malumori interni, generatisi in gran parte al momento del passaggio di consegne tra Camilleri e Vigna all’amministrazione, incarnanti due modelli ben distanti e definiti. Binotto quindi – fautore di una rinascita di cui è protagonista – paga il dazio delle stagioni nere di cui abbiamo parlato, unite ad una costante delle ultime annate Ferrari, la quale inizia con promesse e pretese per finire a baracca e burattini. Purtroppo è la verità, ogni anno arrivati a metà stagione: “dobbiamo concentrarci sul 20…” e via dicendo. Errori di strategia grossolani se non grotteschi – di cui sono responsabili Rueda e Mekies, più che il Team Principal – non possono più essere commessi, le scuse sono finite. Quest’ultimi sono sotto la lente, come è nel mirino la gestione dei piloti: è fondamentale per i meccanismi di un team che il capo abbia sempre il pugno sulla situazione, e sappiamo bene che così non è stato. Perdonate la malizia, ma se ce ne fosse bisogno per rimettere Charles al centro di tutto, sarebbe bene che lui stesso parlasse ad alta voce ed esprimesse un giudizio su Binotto. Non paga quindi l’esperienza, che ha in abbondanza, bensì la gestione e il progresso: non è possibile – nonostante direttive, normative e pippe varie – che la Ferrari abbia cali drastici di prestazione, in Mercedes è Red Bull si va più veloci, non si rallenta. Non ha capitalizzato il suo lavoro e se è necessario deve farsi da parte o essere ricollocato. Però attenzione Ferrari: sei così sicura che un guru dei motori cresciuto in casa sia da cacciare via? Io non credo, sarebbe un pezzo pregiato per molti team e una perdita notevole. Per questo mi rassicurano le indiscrezioni che lo darebbero in squadra, con un ruolo diverso, nei motori o alla supervisione.
Binotto out ma Ferrari smentisce, in pole Vasseur?
Sguardo accigliato, quasi guercio, portamento caracollante e battuta sempre pronta. Questo è Frederic Vasseur per un appassionato di F1. Per neofiti e spettatori saltuari, ecco un breve riassunto della sua carriera: è un professionista nel tirare su squadre e piloti, passione iniziata quando nei motori non sbocciava (“Se arrivi decimo nelle gare giovanili, è meglio essere realisti”); allora ha preso la laurea in Tecnica Aeronautica e si è dedicato alla gestione. Gestione che lo ha premiato prima nelle categorie minori, quando con la ARS tirava su Rosberg e Hamilton in F3, per poi farlo approdare in F1 dopo non poche peripezie (“Di soldi ne avevo zero, dormivo in camion, facevo tre parti in squadra”). La creazione della ART in GP2 è il suo volano, dove vincerà numerosi titoli che corrispondo ad altrettanti piloti che oggi a lui devono tutto. Nel 2016 la grande occasione in Renault, fallita per le incongruenze di un francese con la macchina francese: quale migliore destino se non il colpo di fulmine con un italiano, l’illuminato Sergio Marchionne? Nasce così il progetto Alfa con il quale si impone nel circus come uno dei migliori amministratori. Vasseur ha un’idea precisa di ciò che è un Team Principal: “Senz’altro la prima cosa che serve ad una squadra, perché richiede un impegno totale che si può mantenere solo se si è appassionatissimi”. L’incognita è fondamentalmente una, ovvero il peso politico. A mio parere in Ferrari necessitiamo di un uomo potente con la FIA, che sappia gestire al meglio il rapporto ai piani alti. Perché per quanto riguarda la comunicazione in squadra ha idee chiare: “In nessun campo sono bravo come i miei ingegneri, ma con loro posso parlare di tutto: motori, telaio, aerodinamica”. Tutti sullo stesso piano e dialogo formativo obbligatorio. Però è nella gestione dei piloti che si è sempre distinto: “Devi avere un pilota e capitalizzare intorno a lui, in F1 è sempre stato così”. Coppie come Bottas-Zhou più che Raikkonen-Leclerc, per rimanere al suo passato recente. Adesso aspettiamo notizie, ma in fondo l’interrogativo è uno: in caso di assunzione dei poteri da parte del francese, la Ferrari rimarrebbe a “due punte” oppure inizierebbe a mettere sul piedistallo una delle due? Posso solo dire che mi piacerebbe vedere in rosso il bel rapporto che intercorreva tra Charles e il suo Team Principal ai tempi dell’Alfa.