Barcellona la rabbia di Xavi

In due settimane Xavi ha rilasciato più dichiarazioni piccate che in vent’anni di carriera.

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Barcellona la rabbia di Xavi
Barcellona la rabbia di Xavi

Barcellona la rabbia di Xavi. Che Xavi non gradisse le trasferte milanesi si sapeva. Secondo le statistiche reperibili (dal 2004 in poi), a San Siro, ospite del diavolo e del biscione, ha un bilancio di 2 vittorie (contro il Milan), 3 pareggi e 5 sconfitte, il 4 ottobre l’ultima contro Inzaghi. Forse questo mal di Milano viene a chi, forte di un castello come quello del Camp Nou, minimizza l’impatto di San Siro sui suoi giocatori. Abbiamo avuto l’impressione che lo stadio di Barcellona fosse un fortino inespugnabile a causa dei decibel altissimi, per scoprire poi che i culers vanno in difficoltà proprio quando lo stadio si ammutolisce; perché se c’è una cosa che gasa i tuoi avversari più di 90000 persone che urlano è quando queste si zittiscono. Perciò gli 80000 del Meazza fanno tremare le gambe ai blaugrana che, usciti dalla loro isola felice, rimangono stizziti dall’atmosfera. Poichè è raro che le curve da noi non cantino fino al 90’, anche quando va male, al contrario che in Spagna. Infatti al ritorno della sfida con l’Inter il Camp Nou non ha fiatato dopo ogni gol dell’Inter, aumentando il peso sulle gambe dei suoi; il solo Lewandowski era immune, ridando voce al popolo catalano. Un popolo particolarmente allergico alle sconfitte, ma soprattutto non scaramantico. Oggi come nel 2010, dopo le scoppole rimediate a Milano, la società ha arringato i tifosi in maniera quasi cameratesca, manco la sfida all’Inter fosse una partita per l’indipendenza catalana. Dall’auspicio – ricorrente – alla remuntada che spesso si rivela portare iella, al divieto ai tifosi ospiti di vestire i propri colori e portare vessilli al Camp Nou, all’invito di avere il “sangue agli occhi” nei confronti dell’avversario di turno: queste sono alcune delle cadute di stile che spesso vediamo a Barcellona. Non esiste al mondo una squadra talmente faziosa. Ed ora che spesso sta davanti ai microfoni, non sembra esistere allenatore più fazioso di Xavi, che ormai da due settimane ha la mente ferma allo “scandalo” di San Siro, ben sapendo che il suo Padrino Johan Laporta gli aveva chiesto ben altri risultati (economici).

Barcellona la rabbia di Xavi, i problemi del Barcellona

A settembre 2021 ero a Barcellona quando vidi in un quiosc sulla Rambla il “Burofàx de Messi”. Incuriosito mi avvicinai: Mundo Deportivo lanciava la bomba e metteva alla luce i problemi finanziari del Barça, debiti per un miliardo di euro e rotti accumulati in anni di cattiva gestione. Le richieste di accordo con Leo, declinate, erano la punta di un iceberg più grande, di un bilancio prossimo al collasso. Laporta, che dichiarava al suo arrivo “la società è clinicamente morta”, al posto di mettersi in austerità e autofinanziamento per respirare, abbassando le pretese sportive ripartendo dalla Masia, ha deciso di fare affari e rigirare come un calzino tutto ciò che aveva sottomano, con l’obiettivo di costruire un instant team da mettere a disposizione di Xavi: ha venduto i diritti del Camp Nou a Spotify, il 25% dei diritti tv del campionato ad una società statunitense e il 50% dei Barça Studios divisi tra due aziende. Ha dato via il futuro per vincere adesso. Tutto ciò per sistemare il bilancio corrente, a cui Laporta ha aggiunto sornione la vittoria della Liga e l’approdo ai quarti di Champions, manco fosse un aruspice. Così sono arrivati Kessiè, Koundè, Raphina, Lewandowski ecc. Dio solo sa cosa sarebbe successo se una squadra italiana avesse operato in tal modo. Insomma, i catalani possono fare così per colpa di una sudditanza della UEFA: spesso questa non si pone in posizione di forza su alcune formazioni; è facile chiudere gli occhi al posto di punire una squadra che ha portato milioni nelle tue casse, è facile se sai che senza il Barça perderai audience. Brutto a dirsi ma credo che sia così. E logicamente se l’obiettivo è disatteso – almeno per i risultati sportivi non temiamo ingerenze, per carità – il principale responsabile, il tecnico, deve trovare dei modi per difendere il posto, soprattutto se è una bandiera e sta fallendo, col rischio di bruciarsi. In quest’ottica però Xavi, in primis dà a vedere il suo scarso autocontrollo, oltre a dimostrare di non aver ancora imparato a dosare le parole, ora che è in una posizione differente. Anche perché i numeri non sono dalla sua: con il 56% di vittorie è l’allenatore con la percentuale più bassa da 20 anni a questa parte, al cui progetto sono stati destinati 254 milioni tra cartellini e stipendi, ricavati grazie alle giravolte di Laporta.

Barcellona la rabbia di Xavi, dichiarazioni forti

“Vogliamo dominare il gioco, la storia del Barcellona è questa e io non la cambio”, così Xavi alla vigilia del match incriminato. Dico subito che la mano di Dumfries era da rigore, non ci piove. Un episodio che ha condizionato il risultato, occorso al tramonto di un match che aveva già tenuto sull’attenti la sala VAR, la quale nel primo tempo aveva tolto qualcosa anche ai nerazzurri, giustamente. Per inciso, Pioli ha subito un danno uguale, ma ha parlato con l’arbitro al centro del campo, non dando spazio a polemiche nel post partita. Durante la partita non lo tengono, rimedia il giallo e forse meriterebbe l’espulsione quando va faccia a faccia con il gesto “you pay” nei confronti del quarto uomo indicando la panchina avversaria. Al fischio finale è furente: “Faccio autocritica per il primo tempo … ma sono indignato per l’arbitraggio, dovrebbero parlare e spiegarsi, così non capiamo niente … sono indignato, è un’ingiustizia e non ha senso … la prossima settimana è una finale!” Il clima si infiamma, i tifosi interisti non potranno vestire i propri colori (se non nel settore loro dedicato), Xavi invoca il dodicesimo uomo e alla vigilia dice: “Il Camp Nou dev’essere un vulcano … ci giocheremo la pelle … che lo sdegno ci serva per la rivincita”. Peccato però che mandi in campo 10/11 di San Siro (Christensen out), cambiando poco o nulla sul piano tattico – inverte Dembelè con Raphina e la mossa non paga – andando più vicino a perderla che a vincerla. Il pareggio sorride all’Inter e pone Xavi e il suo Barça sul lastrico dell’eliminazione. E lo percepisce: “Se non batti l’Inter in casa, non meriti di passare il turno … se andremo in Europa League è per demeriti nostri”. L’ambiente sembra essersi calmato ma non è così. Pochi giorni dopo il Barça prende tre gol dal Real e l’ultimo è un rigore dato al VAR. Laporta, in preda ai nervi – forse anche per l’arresto del figlio poche ore prima – decide di scendere negli spogliatoi ed inveire contro l’arbitro Sanchez Martin, colpevole secondo lui della disfatta, per poi essere cacciato di peso dagli assistenti. Il comportamento del presidente fotografa la situazione attuale, non può letteralmente permettersi questi risultati. E Xavi lo sa: “Se mi cacciassero lo capirei”, anche se l’ultima cosa che serve a Laporta è un altro tecnico a libro paga. L’ex fuoriclasse sa che probabilmente il suo destino è segnato dalla Champions, per questo nelle sue parole riecheggia la delusione: “Abbiamo perso contro il Real che è una grande squadra, la sfortuna è stata mercoledì con l’Inter”, quasi snobba i meneghini e a giorni di distanza rincara la dose: “Gli errori? Con l’Inter ho protestato ma non è servito a nulla … penso sempre che a fine stagione gli errori si compensino, vediamo se si bilanceranno”. Come se qualcuno remasse contro il Barcellona, a parte il Barcellona stesso. Ormai dal post partita del 4 ottobre Xavi sembra essere un disco inceppato, che con spocchia e scostumatezza ripete la solita solfa. Non solo ha offeso l’Inter con il gesto dei soldi, ma anche generato tensioni tra gli addetti ai lavori e ai tifosi, attraverso un lessico rabbioso e inadatto al mondo del pallone, a maggior ragione a questi livelli. Se a Laporta servirebbe qualche lezione di economia sostenibile, a Xavi servono lezioni di stile: quello che faceva con i piedi era sublime, ciò che esce dalla sua bocca è talvolta scabroso.