Benzema Pallone d’Oro rivoluzionario. E il nastro si fece oro. Molti avranno capito a cosa mi riferisco, ovvero al segno distintivo del campione di Lione, che da anni gioca con il famoso nastro bianco sulla mano destra, in perfetta armonia acromatica con la divisa dei blancos. Si è fatto oro, come il suo mondo tutto ad un tratto: è lui il capostipite del nuovo Pallone d’Oro, è arrivato al premio grazie alla centralità delle statistiche da questa edizione in poi, ma state certi che sarebbe stato difficile non dargli quello “retrò”, i più cattivi diranno quello “politico”. A 34 anni sugella la sua carriera da marziano con il premio più ambito, nella sua patria che lo ha amato e odiato, e che oggi lo premia con il Sacro Graal dei calciatori. Succede a Messi, anche se tutti sanno che la sua incoronazione doveva seguire quella di Lewa, così incredibilmente vicino al francese per la carriera, con l’unico smacco del premio mancato. Significativo il saluto e lo scambio di battute tra i due non appena Karim si accomoda in prima fila al Theatre du Chàtelet. Robert si dimostra come sempre un signore, anche se già sa che per la seconda volta dovrà accontentarsi del premio per il miglior bomber, che tra l’altro spetterebbe a Karim di diritto. Tutti i calciofili converranno con me che i due signori di cui sopra sono stati di fatto oscurati da una diarchia esercitata dai due principi del pallone negli ultimi quindici anni, diarchia che è stata la linfa vitale del sistema calcio negli anni 2010. Con percorsi simili e speculari i due “Normal Ones” sono saliti alla ribalta, ma gli epiloghi si sono rivelati diametralmente opposti. La passata stagione difatti non si capiva se importasse di più l’Oro o il Pallone, grazie ad un’edizione PSG-centrica costruita intorno al fuoriclasse Leo VII da Rosario. Il malcontento dei non messianici e le continue insinuazioni di ingerenze sul premio hanno portato alla svolta storica di quest’anno. Così France Football è corsa ai ripari e per un calcolo azzeccato dal destino il primo ad essere insignito del riconoscimento rivoluzionato è stato proprio un francese. Scacco matto per la rivista transalpina che tuttavia ha dato da parlare a qualche lamentoso causa il sesto posto in graduatoria di Kilyan Mbappè, piazzamento secondo me giusto. Gli altri premiati dalla nuova formula sono Sadio Manè, secondo in graduatoria, investito anche del premio Socrates; Kevin de Bruyne terzo (con il City incredibilmente miglior team a scapito del Real); Thibaut Courtois vince il premio Yashin e Alexia Putellas il suo secondo Pallone d’Oro femminile. A margine di ciò possiamo dire che questo aggiornamento nella formula dell’assegnazione segni un distacco dalla storia recente del Pallone d’Oro: nelle stagioni che ci attendono si prevede una nuova diarchia – Haaland vs. Mbappe – che potrà essere arginata grazie al calcolo statistico, in modo che protagonisti di stagioni pazzesche (come lo sono stati Sneijder, Iniesta, Ribery) non siano oscurati e spazzati via da calciatori che semplicemente non fanno parte della stessa categoria antropologica – quella degli androidi inumani – e che talvolta, in passato, negarono il premio a grandi campioni. Affinché di fianco a Karim possano sedere nuovi Lewandowski.
Benzema Pallone d’Oro rivoluzionario, la Champions e i gol
Chissà cosa avrà pensato Massimo Moratti stasera, lui che nell’agosto 2009 arrivò ad offrire 40 milioni al Lione per un ventunenne scalpitante, salvo poi virare sull’affare Eto’o. Poco importa, la storia ha dato ragione a entrambi, per il primo a breve termine, con l’ondata nerazzura che si esauriva nel 2010; per Karim a lungo, lunghissimo termine, nella casa blanca ormai con 13 stagioni di onorata carriera alle spalle. Arriva a Madrid – conosce un certo Gonzalo Higuain, che guarda un po’ si ritira dal calcio tra le lacrime proprio il giorno dell’incoronazione di Karim – trovandosi davanti giocatori come Raul, Cristiano Ronaldo, con il quale condividerà “l’età dell’oro”; ora lui e Luka Modric sono i pilastri del Real e hanno conservato quella discreta praticaccia a vincere la Champions con la complicità di un uomo (e di un sopracciglio). Quella della scorsa stagione è forse la più grande vittoria della carriera di Carlo Ancelotti. Rodrygo, Vinicius, Courtois, Militao, Mendy (che salvataggio Mendy), sono tutti mattatori della squadra. Però il croato e il francese sono i trascinatori, il cardine di una formazione che magari non è quella di qualche stagione fa ma è maledettamente cinica, dimostrando una resistenza stoica e una lucidità sorprendente sul ribaltamento di fronte. Karim fa cinque gol ai gironi ma è quando la posta si alza che diventa davvero immarcabile. Tripletta al Paris e sfida ribaltata. Non è sazio, un mese dopo ne fa tre al Chelsea. Al ritorno sentenzia il passaggio del turno, gol decisivo del 2 a 3, ai supplementari. Spaventa il City nella vittoria degli inglesi con una doppietta, ma è al ritorno che si compie un miracolo: Karim assisterà Rodrygo per il primo dei due gol del brasiliano che portano la sfida ai supplementari (tra l’89’ e il 91’) dove Karim, steso da Ruben Dias, befferà Ederson dal dischetto. Non punirà il Liverpool in finale, ci pensa Vinicius. Il Real, che a inizio stagione si diceva non essere la favorita nel girone dell’Inter, vince la Champions League e Karim segna 15 gol, 10 dagli ottavi in poi, se questo non è un Pallone d’Oro! Ad aumentare il bottino la vittoria della Liga e il titolo di Pichichi pronto per lui. Se non bastasse ad agosto annienta un volenteroso Eintracht Frankfurt con altri due gol. Non serve effettuare disamine tecniche per decidere se sia un giocatore da Pallone d’Oro, è giusto che Karim – giocatore immenso della più immensa formazione sulla terra – venga premiato per questi sei mesi indimenticabili, in cui ha riempito le tasche con le figurine più preziose di difensori e portieri.
Benzema Pallone d’Oro rivoluzionario, una figura simbolica
C’è un’istantanea emblematica, che ritrae Karim sfocato sullo sfondo di una foto non banale: ci sono Cristiano, Kroos, Sergio Ramos e James con Pallone d’Oro e premi FIFA in vista; dietro di loro Benzema che sogghigna e scorge i graduati, con sguardo tagliente e ambizioso. Questa foto serve a farci tenere presente come Karim sia al massimo livello da sempre, ma fino al momento prima della responsabilità, prima di assumere il comando, non c’è stato un calciatore che più si sia dato per la sua squadra, imparando e migliorando stagione dopo stagione grazie ai campioni con cui si allenava. Karim Benzema è un simbolo. Oggi più di prima la sua figura vive di una carica particolare, altamente rappresentativa. Di grandi giocatori francesi ce ne sono stati, ma si entra nell’immaginario popolare grazie a questo premio, a maggior ragione perché inventato, reso famoso e consolidato da una rivista sportiva francese. Di fianco ad affermazioni come quelle di Kopa e Papin, grandi campioni, ci sono le leggende: le Roi, Michel Platini, che ha monopolizzato gli anni ottanta; Zizou Zidane che ha vinto il primo Mondiale, pennellando calcio con la sua tecnica superlativa; poi Karim, la rivoluzione francese, colui che non ha potuto vincerlo il Mondiale, a prendersi la sua rivincita anche sulla federazione. Per me sono questi i tre simboli del calcio di Francia, aspettando Mbappè. Zidane e Benzema – oltre ad essere stati una formidabile coppia allenatore-giocatore – sono anche bandiere degli oriundi di Francia, simboli della seconda e della terza generazione dei figli di immigrati. Sono accomunati nel fare parte di quella parte di Francia cresciuta – e spesso ghettizzata – nelle banlieu, sono simboli di resilienza e affermazione di una classe di persone che ha giocoforza cambiato, a torto o ragione, gli equilibri interni della nazione. Questo provenire dalle periferie, da ambienti che spesso si rivelano malsani, ha rafforzato la figura di Karim come icona underground, imprimendola nel cuore delle generazioni più giovani. Per dirla alla Jake la Furia: “Benzema è il più tamarro di tutti, lo vedrei bene nel mondo del rap”. Ha sempre rappresentato ciò e da ciò si sente egli stesso rappresentato; come poteva conciarsi per la serata più importante della sua vita se non vestito come Tupac Shakur, in uno dei suoi completi più iconici? Fendi gli ha preparato una giacca nera su camicia bianca, un particolare nastrino nero intorno al collo e occhiali sottili di forma ellittica a richiamare il rapper americano. Il tocco di lusso lo danno un bracciale e al polso opposto un Richard Mille con quadrante in oro. Non poteva lasciare nulla al caso per questa serata, dunque alla proclamazione da parte di Zizou (corsi e ricorsi) si è materializzato sul palco con la fierezza e l’imponenza della sua figura. Non perché sia un gigante, ma perché ieri la sua sagoma emanava un’aura speciale, quella del vincente. “Ho lavorato e ho attraversato momenti difficili … per vincere servono dedizione e passione” il suo monito. All’emozione segue la commozione quando la madre e il figlio salgono sul palco; sembra quasi un altro, lo sguardo è sciolto, i muscoli del volto nascosti sotto la folta barba appaiono distesi, Karim è felice. Questo è per lui, a rimarcare ancor di più l’importanza sociale del riconoscimento, il “Pallone d’Oro del popolo”. Ora non è solo ambasciatore di una parte di Francia, è un simbolo della nazione, accede finalmente all’Olimpo sportivo. Alla faccia di quelli che lo avevano escluso, a chi non gradiva la sua personalità esuberante e divisiva, a chi lo giudicava guardando solo ciò che faceva nella sua vita privata. Karim ha vinto contro di loro, li ha battuti con i fatti sul campo. Cinque Champions, quattro Mondiali per Club, una sfilza di trofei nazionali tra Francia e Spagna: un curriculum da Pallone d’Oro, aspettando il Mondiale, che questa volta nessuno gli impedirà di giocare.